I POSTI SEGRETI DELLA LORENZA - UNA NOTTE TRA LE BRACCIA DELLA LORENZA
Romano Mellini racconta il giro di perlustrazione fatto nel mese di agosto 2014 per individuare il percorso divenuto poi il classico "Anello della Lorenza", descritto negli Itinerari dalla Lorenza. Il racconto prosegue con quella che è stata, in assoluto, la "prima notte" passata nel rifugio... con qualche licenza alla fantasia.
I POSTI SEGRETI DELLA LORENZA
Parafrasando Garcia Lorca, escludendo un piccolo ma non insignificante particolare “Con (senza alla Garcia) la luce lunare sulle cime sono cresciuti gli alberi”. Belli, alti, ritti, nascondono giù in basso, una piccola capanna, degna dimora di Biancaneve e i sette nani. Un’atmosfera fiabesca avvolge tutto l’ambiente incitando l’animo a tuffarsi nella bellezza e le gambe a muoversi. Un sentiero, leggermente in salita, si allontana dalla casetta ed accarezza felci, muschi e licheni: Percorsi un centinaio di metri incontra il sentiero n° 11 che lo si segue, dapprima in piano, poi, in discesa. Il percorso non ha nulla da invidiare a una navata di una cattedrale gotica dove gli alberi sono le slanciate colonne verso l’infinito. Sul lato destro del viottolo, profondi e dirupati fossati si gettano a capofitto verso il basso.
L’azzurro del cielo occhieggia tra le fronde sottolineando il magico splendore dell’etereo padiglione. In circa quaranta minuti si giunge alla caserma della Forestale e per strada asfaltata, sempre i discesa, si arriva in una decina di minuti a Ponte a Rigoli. Una brutta costruzione in muratura che in passato avrebbe dovuto funzionare come allevamento di trote, disturba il paesaggio. Un invitante pianoro accarezza la sponda sinistra della Limentra orientale accogliendo nei giorni festivi numerose famiglie assorte in prelibati mangiari. Lo si percorre tutto camminando per una stradina bianca che, ben presto, inizia a salire. Ecco l’antica via medioevale che univa la piana di Pistoia alla valle del Reno ed alla pianura Padana. Su di essa transitavano pellegrini, monaci, mercanti, uomini d’arme e straccioni. Sotto le fronde degli alberi, accompagnate dal gorgoglio del fiume, par di sentire le preghiere dei pellegrini diretti a Badia Taona. Ecco, sulla sinistra, appaiono i ruderi di un agglomerato medioevale “Glozano”. Il minuscolo insediamento fu costruito tra il decimo e undicesimo secolo con lo scopo, molto probabilmente, di servire come riposo ai viandanti e come preparazione, all’interno di una piccola chiesetta romanica, per essere degni di essere ricevuti dall’Abate di San Salvatore della Fontana Taona. Visitato il sito archeologico che profuma ancora d’incenso, si continua a salire avendo in basso le acque del torrente ed in alto il crinale appenninico. Oltrepassati due punti della stradina denominati gli “sciacqui” s’incontra la strada asfaltata che porta alla Collina. Continuando in salita per detta strada, in una mezza oretta si giunge alla Badia Taona posta a 1.091 metri s.l.m.. L’abbazia benedettina fu fondata dal monaco Tao che in precedenza aveva già fondato S,Antimo presso Montalcino e San Tommaso sul Monte Albano. Documentata nel 1.004, tuttavia, risulta più antica. Nel 1.370 fu abbandonata e distrutta. Nel 1.570, papa Pio V° la dette alla famiglia fiorentina dei “Pazzi”. Nel 1.922 venne venduta alla famiglia Lombardi i cui discendenti la conservano ancora. Lasciati i ruderi dell’Abbazia carichi di storia e di mistero si prende a destra il sentiero 167 diretto a Riola abbandonandolo poco dopo per imboccare il sentiero 17 diretto al Monachino. Gli alberi continuano ad essere le colonne di una cattedrale gotica ed il cielo occhieggia da sopra le cime. Il viottolo procede in salita fino ad arrivare ad un quadrivio. Si prende il sentiero di destra fino ad arrivare ad uno strano bivacco formato da pietroni sovrapposti. Dal ricovero cavernicolo si procede in discesa e dopo una ventina di minuti si viene accolti tra le braccia della Lorenza da cui siamo partiti
Ecco le misure del giro: 500 metri di salita, 500 metri di discesa e 13 chilometri di percorso divorati in cinque ore circa.
UNA NOTTE TRA LE BRACCIA DELLA LORENZA
Dopo aver sognato durante il tragitto dell’anello della Lorenza, siamo arrivati alla capanna che Febo, in pigiama da notte, stava per andare a letto dietro al crinale appenninico. Dobbiamo darci una mossa perché il buio avanza inesorabile e noi abbiamo, ancora, il letto da fare. Alla fioca luce tremolante di alcune candele mangiamo un piatto di spaghetti all’arrabbiata che sanno di metafisica. E di metafisica sa pure l’insalata mista ed il formaggio. Ma di metafisica soprattutto, sanno due bottiglie di vino, una bianca ed una nera. Sorseggiato un ottimo caffè, guardiamo fuori dalla porta rimasta aperta e dalle due finestrelle. La luna spadroneggia nel cielo e tinge d’argento le cime degli alberi. Inoltre, la dea della notte si diverte a creare giochi di luci e di ombre tra i tronchi maestosi. In mezzo a tanto splendore che, probabilmente, non c’è in un albergo a cinque stelle, il tempo vola e verso mezzanotte usciamo per fare un giretto lungo la strada. Il silenzio viene rotto da alcune folate di vento che scendono verso valle imitando il salmodiare dei monaci medioevali sulla strada per Badia Taona. Poco più avanti, ecco due ombre fuggire nel folto della foresta lasciando dietro di loro una magica scia soprannaturale. Ancora alcuni passi e sui rami più alti un allocco emette il suo caratteristico verso colto come per magia da un altro allocco poco distante. Che sia un colloquio tra un allocco ad una allocca? Tutto è possibile in una notte come questa. Da discorsi banali si passa a discorsi esistenziali. S’inizia con la bontà e la cattiveria degli uomini. Si parla del lento trascorrere del tempo fino al traguardo finale e di conseguenza si arriva a toccare l’esistenza o meno del Dio pantocratore. Una cosa è certa. Chi ha creato e dipinto questo quadro che si staglia davanti a noi non ha commesso sbavature adoperando, si capisce, una mano divina. Il manto stradale, illuminato a chiazze da Selene, sale dolcemente e accarezza profondi valloni dirupati verso il basso. Torniamo sui nostri passi e verso le due entriamo nella capanna infilandoci nei sacchi a pelo dopo aver dato una buona prova di contorsionismo. Al calduccio udiamo i rumori della notte accompagnati dal vento, dapprima abbastanza forti poi fievoli fino a scomparire tra le braccia di Morfeo. Il rombo di una macchina mi sveglia di soprassalto alle cinque che è ancora buio. Un raccoglitore di funghi si perde nel bosco con un paniere sotto braccio. Richiudo gli occhi ed ecco un altro automobilista parcheggiare l’auto vicino alla fontanella. Mezzo addormentato riapro la porta e la magia della sera prima continua. Il bianco dell’aurora avvolge ogni cosa e par di intravedere i folletti sparire nel bosco. Gli alberi, fieri della loro altezza, salutano per primi lo spuntare del giorno. La natura pian piano si risveglia nei tenui colori del mattino. Abbiamo dormito poco ma in compenso abbiamo sognato ad occhi aperti. Che sia tutto vero? La Lorenza ci accarezza ammiccando furbescamente e chissà se un grande albergo di lusso sa fare altrettanto bene? Grazie foresta dell’Acquerino, grazie alberi giganteschi, grazie Lorenza e grazie Mauro.